La tarasca, il drago corazzato francese

La tarasca è un drago che viveva alla foce del fiume Rodano, in Provenza. La sua tecnica di caccia preferita, stando a quanto riportano le cronache, prevede un lungo e tranquillo appostamento sotto il pelo dell’acqua. La mossa successiva è un balzo fulmineo con danneggiamento e affondamento di imbarcazioni. Il personale di bordo viene inghiottito per intero.
Quale aspetto avesse la tarasca è un mistero. A volte viene rappresentata come un mammifero marino, altre volte con le fattezze di una enorme tartaruga con sei zampe.
Potremmo incolpare Titivillo, il diavolo degli errori, ma in questo caso prenderei in considerazione anche l’ipotesi che la tarasca non abbia lasciato molti artisti vivi e che i pochi sopravvissuti fossero troppo shoccati per descriverla accuratamente. Si sa per certo che solo santa Marta riuscì ad addomesticarne un esemplare.

Santa Marta, domatrice di tarasche

Marta tiene al guinzaglio un drago marino

Santa Marta è una delle due sorelle di Lazzaro. I vangeli ci raccontano che quando Gesù si fermò da loro, Marta si preoccupò di cucinare, preparare la casa e mettere tutti a proprio agio, mentre sua sorella Maria, seduta comoda, ascoltava le chiacchiere dei discepoli. Marta, per questo suo comportamento, è stata scelta come patrona delle casalinghe, degli osti e degli ospizi. Ora, Marta era molto più di questo.

I tre fratelli, dopo la morte di Gesù, furono condannati a morte, messi in mare in una barca senza vele, timone o provviste e spinti al largo dai pagani. Furono in balìa delle correnti per un bel po’, prima di toccare terra in Camargue, da lì partirono per evangelizzare tutta la Provenza.
Marta, da spirito pratico qual’era, fu l’unica a rimboccarsi le maniche quando si trattò di risolvere il problema della tarasca.

Nella miniatura qui a fianco possiamo osservare Santa Marta che tiene al guinzaglio un drago. La buon’anima che fece questo disegno doveva avere le idee un po’ confuse: ha dotato il drago di ali e lo ha posto in acqua. Questa miniatura viene da un testo del 1300 conservato alla Biblioteca Nazionale di Francia. Il drago in questo caso è una viverna.

La tarasca anfibia nella Legenda aurea

tarasca mezzo pesce nella legenda aureaJacopo da Varagine, nella sua celeberrima Legenda Aurea scritta alla fine del 1200, ci lascia una descrizione della tarasca come animale anfibio. In particolare, ci dice anche che il corpo del drago è “più spesso di un bue, più lungo di un cavallo, con denti simili a spade e grandi come corna”. In pratica, ci sta descrivendo un grosso mammifero marino. La dentatura potrebbe ricordare il tricheco, altri dettagli mi fanno propendere per la foca monaca. 

La miniatura qui a fianco viene da un testo della fine del 1300, di Jean Golein.
In alcune raffigurazioni si nota una linea di demarcazione netta e precisa tra la metà anteriore, da mammifero, e quella posteriore da pesce. Una divisione identica a quella usata per le sirene.

Una delle leggende sulla tarasca ci dice sia un ibrido concepito dal più grande dei pesci, il Leviatano, e dal Bonnacon. Quest’ultimo è un bovide che, quando spaventato, si difende spruzzando dietro di sé escrementi ustionanti.

Generalmente le dimensioni non sono riportate correttamente nelle illustrazioni medievali per mostrare la superiorità della fede rispetto al nemico pericoloso. Il mostro è brutto, ha zanne e artigli, ma non supera le dimensioni di un cinghiale. Il cavallo del santo di turno lo travolge facilmente con le zampe. Nel caso di Marta, che non combatte con la forza ma ammansisce con la fede, le misure possono essere un po’ aumentate. I draghi dell’antichità non raggiungono comunque mai le dimensioni di quelli a cui siamo abituati oggi dal fantasy.

Il libro delle ore di Louis de Laval

tarasca pelosaNel libro delle ore di Louis de Laval, illustrato da Jean Colombe nel 1472, la santa è in piedi al centro della scena, unica donna tra due schiere di uomini. La cintura è borchiata e nella mano sinistra tiene il secchiello e l’aspersorio con i quali ha appena fatto il miracolo. Alla sinistra della santa, dalla parte della città fortificata, troviamo l’esercito schierato a battaglia, con gli arcieri e i balestrieri che tirano da pochi centimetri verso un bersaglio fermo. Più indietro, la fanteria pesante, ben corazzata, aspetta il suo turno di caricare in posizione di riposo, a gambe larghe.

Alla destra della santa, in aperta campagna, un’orda di villici armati di attrezzi agricoli mischiati a uomini in armatura leggera, aspetta di potersi bagnare nel sangue del nemico. Sono ammassati in modo disordinato, vestono ognuno a modo suo e non sembrano avere comandanti.

La tarasca inizia ad avere la pelliccia su tutto il corpo al posto delle squame. La pelle sembra morbida, si riconoscono le piegoline lardellose sul collo e alle caviglie. Il manto è maculato e la coda sembra avere una criniera lunga e stretta come quella dei cavalli. Naso con vibrisse e orecchie sono tipicamente da mammifero. I denti sono radi e non particolarmente lunghi. La tarasca inghiotte la preda intera, di testa e di schiena.
L’unico indizio del carattere anfibio di questa bestia sono le zampe palmate.

Il fatto che la bestia si faccia addomesticare non mi sorprende, le foche monache sono più propense a instaurare una relazione con l’uomo delle foche comuni.

Il libro delle ore di Enrico VIII

Il libro delle ore di Enrico VIIISanta Marta porta al guinzaglio la tarasca dopo averla aspersa di acqua benedetta. La miniatura viene dal libro delle ore di Enrico VIII, eseguita dai Jean Poyer intorno al 1500.

In questa miniatura vediamo la tarasca nel suo ambiente naturale. La sua tana è una piccola caverna, con della vegetazione stentata sulle pareti rocciose e senza molte tracce di umidità. La tana è frequentata da parecchio tempo, lo si capisce dall’usura della cotica erbosa. La pista d’accesso alla caverna è sterrata, con dei sassi sparsi che mancano nel prato circostante.

Questo particolare mi fa pensare alla foca monaca, che viene a terra per partorire e allevare i cuccioli nelle loro prime settimane di vita. In questa occasione, sceglie una grotta marina o un anfratto roccioso protetto come base. Le foche monache erano presenti in tutto il Mediterraneo, Francia del sud compresa, dalla fine dell’ultima glaciazione. Gli adulti possono superare i due metri di lunghezza e i 300 kg di peso, fanno una bella impressione a vedersi. Sono animali carnivori, si nutrono di grossi pesci come cernie e murene, oltre che di crostacei e molluschi.

Il mostro disegnato da Jean Poyer ha le zampe poste lateralmente al corpo e quando cammina solleva di poco il corpo da terra. Non sembra avere artigli alla fine delle dita e non è agevole stimare la lunghezza e il numero delle dita per via della posizione delle due zampe visibili, quelle anteriori. Il corpo sembra coperto di squame di diverso tipo: strette e lunghe sugli arti, tondeggianti sulla schiena, ampie sul ventre. Quelle delle spalle sembrano dotate di una cresta spinosa rigida, mentre più dorsalmente potrebbero essercene di sporgenti e connesse da una sorta di patagio morbido. Sotto il mento possiamo osservare tracce di peluria, la famosa criniera.

La dentatura presenta due canini in posizione classica e una seconda coppia di zanne a metà arcata mascellare. Gli altri denti sembrano carnassiali classici. Il mostro inghiotte la preda dalla testa, comportamento tipico di molti predatori che facilita la deglutizione. La tarasca inghiotte la preda con tutto il vestiario, cosa che suggerisce una buona capacità digestiva di questo predatore.
Nel complesso, questa è la tarasca più simile a un coccodrillo di cui abbiamo traccia.

La tarasca spagnola del 1600

processione con carro del drago del 1663

Dal 1600 in avanti le rappresentazioni della tarasca divergono dal modello mammifero marino e si avvicinano al rettile. Quello che vedete qui a fianco è il disegno del carro della tarasca. Il drago era talmente grande da poter ospitare sulla sua schiena un paio di colline boscate, con vari personaggi. Immancabile, grande e benedicente, santa Marta.
Il drago dal ventre rosso e dal dorso verde ha lingua piccata, ali da pipistrello e quattro zampe, direi quindi che si ispirarono al classico drago europeo per costruire questo carro da parata.

L’unico particolare che rende ancora fede alla natura mammifera della tarasca è la presenza di mammelle. Il mostro è di genere femminile.

Fu Isabella di Castiglia, regina cattolica, a importare la tradizione di una processione con drago nel giorno del Corpus Domini (Corpus Christi in Spagna) nel 1482. Da lì in poi, la celebrazione si è arricchita di balli e danze via via più vivaci, fino a quando, nel 1575, Filippo II arrivò a proibire la partecipazione agli adulti, consentendola solo ai bambini e vietò addirittura di vendere i dolci tipici della festa. Il popolo si ribellò e anticipò la festa di un giorno, aggirando il divieto.
La gente indossava i suoi vestiti migliori e accorreva per vedere gli scontri tra angeli e demoni e, soprattutto, il grande drago. La cosa però evidentemente continuò a interessare gli adulti, che ne approfittavano per lasciarsi un po’ andare. Nel 1780 Carlo III proibì le sfilate giudicate indecenti. Insomma, era un momento per farsi vedere, esagerare, ubriacarsi e rimorchiare.

La tarasca di Arles del 1700

Processione con il drago di ArlesUn secolo dopo, nel 1788 ad Arles, la tarasca prese un nuovo aspetto. Il carapace è alto e bombato, ricorda moltissimo quello di una tartaruga, arricchito però da spine. L’unico residuo del suo carattere mammifero è la testa leonina. Le zampe sono ora sei, tre per lato.

La tarasca continua a mangiare la sua vittima iniziando dalla testa. Evidentemente l’evoluzione dei caratteri esterni non le ha modificato le abitudini alimentari.

Con il passare dei secoli le processioni con i draghi giganti si sono diffuse verso il nord Europa. Si svolgono in Spagna, Francia, Belgio e Paesi Bassi e sono state dichiarare patrimonio dell’umanità dall’UNESCO nel 2008.
In Baviera c’è un paese, Furth im Wald, in cui invece della processione religiosa preferiscono inscenare la battaglia tra un cavaliere e il drago. L’evento si chiama Drachenstich e va visto almeno una volta nella vita.
Da noi c’erano solo le rogazioni, che si fanno portando in processione un draghino piccolo piccolo, in cima a un palo. Peccato.

La tarasca da diporto di Charles Lepec

tarasca di Charles LepecSiamo ormai nel 1874 e santa Marta si può divertire a cavalcare una tarasca anfibia con sportività. Il guinzaglio non è legato intorno al collo, ma alla mandibola. Secondo la leggenda, Marta utilizzò la propria cintura per condurre la bestia addomesticata fino alla città più vicina. Lì i villici non si fecero convincere della sua bontà e la massacrarono con pietre e forconi.

Le ali non possono essere chiuse nella posizione naturale, come fa un cigno quando nuota, perché la santa tiene i piedi sulla schiena della tarasca. La povera bestia è quindi costretta a tenerle aperte. Le ali aperte fanno da vela e non sono per nulla utili, in questa situazione. La tarasca cerca di far fileggiare i patagi, esponendone il meno possibile, per non averne un freno. Deve nuotare con le zampe (invece di volare) e pure tenere a galla un peso. Povera.

La tarasca di Lepec ha la classica testa canina. Interessanti sono le squame del collo, ad anello, e quelle del resto del corpo, più tondeggianti. La coda sembra avere un ciuffo di peli. Forse questo ciuffo è tutto ciò che resta della parte leonina di questo animale.

Mi secca da morire non riuscire a contarle le zampe.


Un intero capitolo del mio saggio su Le Migrazioni dei draghi è dedicato alle tarasche.
Il discorso prosegue analizzando le necessità di questa specie nel periodo invernale e ipotizzando alcune strategie comportamentali attuate durante il letargo. Approfondisco anche la questione delle dimensioni dell’areale di caccia necessario al sostentamento di questa specie.

Durante il seminario Mythos III – miti e l’epica dell’antichità classica e del mondo medievale nella fantascienza e nel fantasy ho invece affrontato l’evoluzione della tarasca nell’immaginario collettivo contemporaneo. Questo strano drago corazzato è diventato una creatura di Dungeons&Dragons e da lì ha colonizzato giochi di carte collezionabili e serie tv.

Dimmi che ne pensi. :)

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